In questi giorni complice l'avvicinarsi delle elezioni politiche si parla sempre più di abolizione della Riforma Fornero e ritorno alle vecchie pensioni di anzianita'. Pur trattandosi solo di proposte elettorali, che come tali vanno considerate, occorre provare a fare un pò di chiarezza sulla reale portata di simili interventi normativi. Prima di tutto i partiti che sostengono, con le elezioni del 4 marzo 2018, una abolizione della Riforma Fornero sono prevalentemente la Lega ed il Movimento Cinque Stelle, le due formazioni politiche sostengono praticamente lo stesso progetto mentre il centro sinistra è schierato su posizioni più moderate pur riconoscendo la necessità di proseguire le correzioni già avviate negli ultimi anni (con l'introduzione dell'Ape e del beneficio per i lavoratori precoci). Posizione ambigua quella di Forza Italia e Fratelli d'Italia che pur avendo sottoscritto il programma elettorale con la Lega nel quale c'è la volontà di "azzerare la legge Fornero" hanno però poi più volte provato a smarcarsi dal ritorno alle vecchie pensioni di anzianita' in quanto eccessivamente oneroso. All'abolizione della Riforma Fornero sia Lega che M5S propongono l'introduzione della quota 100 e della quota 41 per tutti i lavoratori. La Pensione di anzianita'La quota 100 consiste nel raggiungimento di un valore frutto della somma dell'età anagrafica del lavoratore e della sua anzianità contributiva che per l'appunto deve restituire il valore "100". Ad esempio la pensione potrebbe essere agganciata con le combinazioni 65 anni di età e 35 di contributi, 64 e 36, 63 e 37, 62 e 38, 61 e 39 o ancora con 60 anni di età e 40 anni di contributi. Le combinazioni astrattamente disponibili possono essere limitate però dalla previsione di un vincolo anagrafico minimo. Ad esempio nel Ddl 2945 nel 2015 a prima firma dell'Onorevole Damiano si ipotizzava un requisito anagrafico minimo nel valore di 62 anni. In tal caso le combinazioni 61 e 39 o 60 e 40 non potrebbero essere attivate. La Lega era arrivata addirittura ad ipotizzare - nel Ddl 2955 - un requisito anagrafico minimo di 58 anni. Qui sotto si illustra la tavola realizzata da PensioniOggi.it nel 2015 delle possibili combinazioni della Quota 100 proposta da Damiano che, come detto, è quella più temperata. L'uscita con 41 anni di contributiAccanto a questo progetto i due partiti premono per l'abbinamento della quota 41 per coloro che vantano un ampio maturato contributivo. In tal caso al raggiungimento di 41 anni di contributi il lavoratore acquisirebbe il diritto ad andare in pensione a prescindere dall'età anagrafica. In sostanza se sino a 40 anni di contributi sarebbe necessario avere almeno 60 anni di età per guadagnare l'uscita (60+40=100) con 41 anni di contributi si potrebbe uscire anche con 59, 58 o 57 anni. Un pò come accadeva prima della riforma del 2011 (all'epoca bastavano 40 anni ma occorreva attendere poi almeno 12 mesi di finestra mobile; per questo motivo si è arrivati ai fatidici 41 anni di contributi). Si tratta di una serie di proposte affascinanti anche perchè non prevederebbero neanche una decurtazione del trattamento pensionistico. Praticamente un sogno rispetto alla realtà odierna che prevede un requisito generale valido per tutti i lavoratori (molto elevato) e poi tante deroghe in funzione della situazione lavorativa di cui si fa fatica a destreggiarsi (es. usuranti, precoci, invalidi, disoccupati eccetera). Anche Liberi e Uguali, il movimento politico di Pietro Grasso che si è staccato dal PD lo scorso anno, ha messo nero su bianco nel programma elettorale la volontà di rivedere la Riforma del 2011. L'obiettivo dovrebbe essere raggiunto "anche riarticolando il sistema delle uscite anticipate o ritardate per tipologie di attività, in base al carico di gravosità del lavoro svolto". Secondo LEU anche la maternità deve essere riconosciuta come fattore di possibile anticipo dell’età di pensionamento, va garantita la stabilizzazione di “Opzione donna” e, con una nona salvaguardia, la definitiva soluzione del problema degli esodati. Il PD e i centristi non intendono mettere in discussione i capisaldi della Riforma del 2011 anche se c'è la disponibilità a proseguire l'intervento già concordato con i sindacati nel settembre 2016 (stabilizzazione dell'Ape, questione della rivalutazione dei trattamenti pensionistici, lavoro di cura e interventi per i giovani).
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